Sky, Boswell racconta la squadra: “Un ambiente duro, che comunque ti forza a cercare di migliorare”
Ian Boswell riflette sul suo periodo alla Sky. Soprattutto, analizza le differenze fra un sistema statunitense più individualista e l’organizzazione collettiva della compagine britannica, che non si riflette esclusivamente nel lavoro di squadra in favore dei capitani, ma anche nella mentalità più accentrata – seppur rischiando di portare al lassismo – che Dave Brailsford impone al suo gruppo. Un approccio che non si riflette esclusivamente nell’ambito prestazionale, ma anche nel “senso di appartenenza” e nell’affidarsi in molti campi alla propria squadra, che a volte ti sovrasta.
“Mi ci è voluto un po’ ad accettare questo approccio – ammette a Rouleur – Avevo un po’ la mentalità americana di dire ‘No, va bene così, me ne occupo da solo'”. Una mentalità che Boswell ritiene arrivare anche dalla maggiore costanza delle squadre nazionali ad allenarsi assieme e fare gruppo, che fa sì che i giovani che arrivavano nel team, come Jon Dibben e Owain Doull, “sapevano già cosa fare”. “Hanno capito preso cosa gli veniva chiesto – aggiunge – Dovevano correre per un risultato di squadra, non per loro, e penso che questo gli sia insito sin da quando corrono per la federazione”.
Vantaggi sicuramente, ma lo statunitense avvisa anche di qualche problema. Se da un lato infatti un corridore come Tao Geoghan Hart ha potuto avere “un anno fantastico grazie alla migliore conoscenza delle corse, anche prima di arrivare alla Axeon (la formazione giovanile di Axel Merckx, che quest’anno passerà Professional, ndr)”, dall’altro ci possono essere dei lati negativi. “Penso ci sia la possibilità che i corridori britannici diventino un po’ troppo rilassati, finendo per non voler più cercare nuove sfide o cambiamenti. Sono cresciuti con la British Cycling e lasciarla diventa difficile, visto quanto si affidano ad essa”.
Un altro punto negativo è che la grande competizione interna che porta la compagine di Chris Froome ad avere sempre una selezione di altissimo livello, certe volte porta anche a bruciarsi i corridori cosiddetti minori. “Hai sempre l’impressione di essere messo alla prova – prosegue – Quindi se non vai bene alla Parigi-Nizza non andrai al Catalogna, poi salterai anche il Romandia. In un certo senso è un bene, ma per alcuni corridori è pesante ed è importante anche poter puntare alcune corse. Se il tuo programma cambia, diventa difficile”.
Sicuramente anche questo è uno dei motivi per cui il 26enne statunitense ha lasciato durante questo CicloMercato per approdare alla Katusha – Alpecin. Senza sbocchi, ha preferito lasciare. “Un po’ come se fossi chiuso in gabbia e messo in un gruppo, per cui diventa difficile progredire o uscire da quel gruppo – sottolinea – Inoltre, il fatto che c’è un budget elevato significa che non c’è molta attenzione nello sviluppare i corridori interni visto che puoi comprarti i più talentuosi”.
Arrivato in squadra a 22 anni ancora da compiere, Boswell ha passato cinque stagioni nella corazzata britannica, ottenendo buoni piazzamenti, senza tuttavia mai riuscire ad esplodere davvero, correndo solo tre grandi giri e senza sinora un solo successo tra i professionisti. Un problema che non vede solo per sé, ma anche per altri, ancora giovani, rimasti in squadra. “Mi sento un po’ male pensando a loro, perché la Sky ha preso alcuni dei giovani più forti in circolazione, come Bernal, Castroviejo e De La Cruz, quindi alcuni dei giovani che ci sono attualmente scenderanno in qualche modo nelle gerarchie interne“.
Se il bilancio nel complesso è positivo, per cui “bisogna fare i complimenti alla Sky e alla British Cycling per aver creato questo ambiente positivo e competitivo”, restano comunque le peculiarità da lui descritte. “Un ambiente duro, che comunque ti forza a cercare di migliorare – conclude – Non puoi stagnare e non puoi pensare di passare tutta la tua carriera alla Sky senza alzare l’asticella”. E se non ci riesci, devi partire per cercare la tua strada.
Non è probabilmente un caso che, come lui, in questi anni siano partiti anche due elementi promettenti, ma che non sono ancora mai riusciti a compiere quel passo sperato, come Ben Swift (partito lo scorso anno alla UAE Team Emirates) e Peter Kennaugh (che il prossimo anno vestirà la maglia della Bora – hansgrohe). Due puri prodotti britannici, promesse sinora mai completamente mantenute, che non hanno trovato il posto sperato in squadra.
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